GIANNI DE TORA |
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1985-86 ''Oggetto d'autore''- Laboratorio Arti visive, Foggia 18 dicembre '85- 7 gennaio '86 |
TESTO DI KATIA RICCI PRESENTE SUL PIEGHEVOLE DELLA MOSTRA |
Oggetto d'autore Il titolo della mostra ''oggetto d'autore" e la convinzione espressa dai partecipanti (artisti, architetti e designers) che ciò che li accomuna è l' ''estetica'' rivelano già un elemento che è alla base del fare artistico: l'ambiguità. Infatti il titolo restringe e dilata ad un tempo il campo di intervento, inserendo il confronto tra gli operatori visivi nel dibattito attualissimo su quali siano gli ambiti dell'attività degli artisti e designers e se esistano affinità e divergenze nell'operare di entrambi. Gli organizzatori, proponendo, in maniera pura e semplice, ''oggetti d'autore" evitano la specificazione ''d'uso", ma non escludono una possibile finalità utilitaria degli oggetti stessi. E' sempre più complicato e forse illeggittimo, oggi, separare la produzione di opere di arte pura che ''sarebbe la presentazione del mondo personale dell'artista in pitture, sculture" o comunque oggetti, dall'operare del designer che non avrebbe ''una visione personale del mondo, nel senso artistico, ma ha un metodo per affrontare i vari problemi di progettazione" (1). Quando l'artista fa il designer, secondo Munari, opera sempre in modo soggettivo, così che l'oggetto prodotto conservi il suo stile, mentre il designer non ha uno stile, ma lavora con un metodo oggettivo ''per migliorare la produzione sia nel senso pratico che in quello estetico ". Invero, in questi anni varie mostre, dall'''Oggetto banale" della Biennale di Venezia del 1980, a ''La neomerce" della Triennale di Milano al "Personal design'' degli «Anniottanta» di Rimini, hanno decretato il successo del decoro, dell'ornamento, dello ''spirito ludico'' dell'oggetto inutile o ''postutile" e aperto la finestra su un ''universo dell'imprecisione di oggetti estroversi e ambigui, forse di poche o nessuna funzione, ma di molti messaggi ", oggetti nei quali anche la tecnologia ''può giocare un ruolo decorativo e ludico " (2). '' Cos'é un personal computer - si chiede Santachiara - uno strumento scientifico didattico o un gadget per giochi e grafici?''. Non è più possibile, dunque, servirsi delle tradizionali categorie del design ''utile - bello", "funzionale-antifunzionale'' che, se erano adeguate alla produzione e alla società della rivoluzione industriale (dell'era moderna), appaiono superate nella società attuale (post moderna) e nella economia consumistica, in cui ''utile'' non è più ciò che serve a soddisfare un bisogno, ma soprattutto ciò che dà un utile economico. Si è sgretolata, forse definitivamente (e non ha senso piangerci sopra), l'utopia razionalista per cui una rigorosa metodologia della progettazione e una produzione industriale qualificata erano considerati fattori condizionanti del progresso sociale e della crescita democratica della società. Sconfinate possibilità si sono aperte agli artisti e designers che, liberi da preoccupazioni ideologiche, politiche, sociali (e da quelle del mercato?), si abbandonano al gusto dell'invenzione, al gioco della seduzione, al piacere di piacere e di sbalordire con oggetti inusuali, sorprendenti, stravaganti, ai limiti della credibilità. Alla mostra del Laboratorio Artivisive gli operatori espongono oggetti che spesso sono una trasposizione in una forma tridimensionale delle loro ricerche sulla superficie bidimensionale. In questo caso sono piccole sculture (Di Gennaro) o pitture tridimensionali (De Tora). Le lampade senza alcun fine pratico, sono piuttosto un pretesto perchè la luce diventi oggetto essa stessa (De Palma, Roca). Ancora lu- ce, che illumina sorprendentemente un improbabile sgabello di terracotta di effetto volutamente Kitsch (Carmellino), che impedisce di abbandonarsi alla nostalgia per il caro vecchio cavallino di legno di infanzie ormai lontane (Nicola Liberatore) o che, impietosa, rivela la purezza perduta dei fiori recisi, se non addirittura finti, nella fioriera di Claudio Grenzi. Pochi gli oggetti d'uso: il gioiello del maestro Barisani, un tavolino di vaga ispirazione naturalistica (Mascitti), un vassoio dalle linee essenziali e cristalline (Di Capua), la libreria di Franco Tretola che coniuga felicemente la funzionalità al gioco divertente e paradossale di finte colonne e capitelli in un elegante assem- blaggio postmoderno. L'atteggiamento più diffuso è il ''non prendersi sul serio'', l'abbandonarsi all'ironia del monumento pomposamente eretto al pelo (Parenti), della metafora reificata dell'orologio con le ali (Rendine), del giocattolo inservibile a causa del materiale usato (De Sandro Salvati) o del bicchiere progettato secondo criteri razionalisti, ma inutilizzabile inserito com'è in un contesto che ne vanifica la funzionalità (Pellegrini). Una ironia tenera e amara si accompagna al gusto popolare nella stele con l'icona della ''Madonna-Contadina " di Leon Marino. In tutti l'idea dell'arredo, della progettazione del bell'oggetto, il recupero dell'elemento decorativo, del colore che ingentilisce le superfici o è dei materiali accostati diversamente per colore, luminosità, asperità. Accanto all' ''estrosità'' fa capolino il rigore, la sobrietà e trasparenza dell'oggetto razionalmente progettato (Accarrino), quasi un segno che la ''Ragione", anche quando sembra sonnecchiare, è lì sempre vigile.
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